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lunedì 29 aprile 2013

West versus East

Il Cretacico superiore ha visto l'imporsi dei Tyrannosauri come predatori dominanti in diversi ecosistemi sia nel continente nordamericano che in quello Asiatico, culminata
nell'affermazione di Tyrannosaurus rex nella Hell Creek Formation americana e di Tarbosaurus bataar nella Nemegt Formation in Mongolia (il quale forse condivideva l'habitat con un altro tyrannosauridae gigante >10m ossia Zuchengtyrannus magnus).
Tuttavia a dispetto della anatomia dei predatori all'apice delle due formazioni ( così simili che esiste un dibattito atto a considerare T.bataar come una specie asiatica di Tyrannosaurus) i due ecosistemi 70 milioni di anni fa dovevano essere molto diversi,
tanto che l'unica costante che è possibile individuare è la presenza di grandi ornitopodi in grado di superare i 12 metri di lunghezza per 5 tonnellate di peso, (edmontosaurini in America e giganteschi lambeosaurini in Asia)probabile fonte primaria di cibo per i tyrannosauri.
Per il resto infatti la fauna asiatica si presenta molto più variegata di quella nordamericana coeva, potendo vantare diversi neosauropodi, ankylosauri, pachycephalosauri, oltre che diversi teropodi quali ornithomimosauri, therizinoauri, oviraptorosauri, troodontidi e tyrannosauroidi di diverse dimensioni, ma priva tuttavia di una delle sottofamiglie più tipiche del Cretacico superiore americano, Chasmodaurinae (per quanto non sia da escludere la presenza di ceratopsidi in Asia come dimostrano alcuni rinvenimenti cinesi).
Tale biodiversità si pone probabilmente alla base delle differenze morfologiche tra Tyrannosaurus e Tarbosaurus (ricordo che il primo presenta un cranio relativamente più grande del secondo ed una considerevole espansione trasversale sia a livello rostrale che postorbitale, maggiormente riscontrabile negli esemplari pienamente maturi), che può ora essere analizzata sulla base di un paio di caratteristiche interessanti;

1) La composizione faunistica della Nemegt Formation è maggiormente assimilabile a quella del Campaniano  americano più ricca di generi rispetto a quella maastrichtiana, e nella quale si riscontra anche la compresenza di due Tyrannosauridi ( vedi post precedente) esattamente come avviene nella formazione asiatica.
In genere negli ecosistemi caratterizzati da alta biodiversità gli animali sono molto specializzati (al fine di evitare di entrare in conflitto per le risorse) e ciò permette a diversi grandi predatori di convivere in areali relativamente ristretti.
D'altro canto negli ecosistemi più poveri di generi gli animali tendono a diventare più generalisti, ed i predatori calano sensibilmente di numero, così come accade nella Hell Creek Formation in cui l'unico grande carnivoro noto è Tyrannosaurus rex(il quale probabilmente occupava nicchie ecologiche diverse a diversi stadi ontogenici).

2) La presenza nel Cretacico superiore nordamericano dei grandi Chasmosaurini, e le prove dirette di predazione di questi animali da parte di T.rex portano a pensare che la presenza di questi animali sia stata una "marcia in più" nell'evoluzione cranica nei Tyrannosauridi.
Come accennato in precedenza infatti è plausibile immaginare che gli individui di Tyrannosaurus mutassero la scelta delle proprie durante l'arco della propria vita, e la maggior modificazione craniale nell'animale la si riscontra proprio durante il passaggio alla piena maturità, momento in cui, raggiunta una massa vicina alle 8 tonnellate, le prede più veloci erano ormai fuori portata.
Durante l'ultima fase della vita quindi Tyrannosaurus rex raggiungeva la mole e la morfologia cranica adatte per abbattere prede di grandi dimensione e potenzialmente fortemente bellicose come i chasmosauri più evoluti.

venerdì 26 aprile 2013

Il nome del Tiranno canadese

Inizia con questo post una serie (non regolare nè periodica) in cui mi addentrerò in alcune spinose questioni tassonomiche, cercando di snocciolare le differenze morfologiche individuate nei Taxa presi in considerazione ed indagando le possibilità che i reperti ad essi attribuiti possano in realtà essere appartenuti ad una singola specie biologica o siano specie diverse attribuibili ad un singolo genere (almeno secondo il modesto parere del sottoscritto), in quanto come già ribadito il genericometro è largamente soggettivo, e di conseguenza a discrezione del/dei paleontologo/i che per primi descrivono e battezzano un Taxon.
In questa prima puntata intendo porre l'attenzione su due grandi Tyrannosauridi nordamericani, entrambi vissuti nel tardo Campaniano/ primo Maastrichtiano nell'area dell' attuale Canada ( diversi resti fossili attribuiti ai taxa provengono dalla Dinosaur Park Formation e dalla  Horseshoe Canyon Formation), ossia Albertosaurus sarcophagus (Osborn 1905) e Gorgosaurus libratus (Lambe 1914).
Entrambi appartengono alla sottofamiglia Albertosaurinae( Albertosaurus sarcophagus < Tyrannosaurus rex ), che comprende i Tyrannosauridi strutturalmente più leggeri, e raggiungono dimensioni ragguardevoli (circa 8/9 metri di lunghezza per 1,5/2 tonnellate di peso), tuttavia possiedono diverse peculiarità anatomiche tali da poter asserire che i due taxa rappresentano specie distinte di tirannosauridi:
1) In A.sarcophagus il condilo occipitale è orientato ventralmente con un angolazione maggiore rispetto a Gorgosaurus (Currie et al. 2003)
2) I due teropodi possiedono scatole craniche di proporzioni opposte, quella di Albertosaurus infatti è mediolateralmente più larga di quanto non sia anterioposteriormente lunga, mentre in G.libratus si riscontra il contrario (Bakker 1988)
3) Gorgosaurus presenta corna lacrimali più sviluppate rispetto ad Albertosaurus ( Carpenter 1992)
4) G.libratus presenta una tibia più robusta di A.sarcophagus, e generalmente si riscontrano proporzioni diverse negli arti posteriori dei due Taxa.
Sulla base di queste osservazioni è possibile concludere che le due specie siano effettivamente separate, tuttavia la questione riguardante il genere resta aperta...
Generalmente, viene utilizzato il dato temporale per avvalorare la tesi secondo cui i due generi dovrebbero restare separati, infatti  Gorgosaurus viene fatto risalire al tardo Campaniano, mentre Albertosaurus al primo Maastrichtiano, tuttavia Nome et al. (2010) hanno menzionato la presenza di Albertosaurus sp. anche nel Campaniano, e questo dato potrebbe essere utilizzato per rafforzare la proposta di sinomia fra i due generi, avanzata (tra gli altri) da Carr et al. nel 2011. che proposero di modificare Gorgosaurus libratus in Albertosaurus libratus.
Nonostante ciò alcune caratteristiche craniali di Albertosaurus sarcophagus sembrano avvicinare quest'ultimo a Tyrannosaurus, mostrando che A.sarcophagus fosse più e evoluto rispetto a Gorgosaurus.

Sotto- Ricostruzioni scheletriche dei due tirannosauri canadesi, l'opera di Scott Hartman (Shartman on Deviant Art) si basa su di un esemplare subadulto TMP 91.30.500, e dovrebbe presentare il muscolo caudofemorale più sviluppato.

martedì 23 aprile 2013

Carcharodontosaurus... in HD!

I grandi teropodi del Sahara sono senza dubbio alcuni dei giganti più misteriosi ed affascinanti del panorama paleontologico sia dal punto di vista degli addetti ai lavori sia da quello degli appassionati, e sono spesso al centro di dibattiti più o meno interessanti dal punto di vista scientifico tanto sulla rete quanto all'interno della comunità dei paleontologi.
In questo post cercherò di fare chiarezza su uno dei predatori più noti vissuti 100 milioni di anni fa nell'area dell'attuale deserto del Sahara, il celeberrimo Carcharodontosaurus saharicus, proponendo una "nuova" ricostruzione scheletrica dell'animale, più verosimile di quella proposta da Sereno nel 1996 (ed  ancora oggi molto utilizzata), ed indicando sulla base di quali reperti è stata realizzata.
Il cranio si basa sul neotipo di Carcharodontosaurus, SGM-Dim1 (Sereno et al. 1996), un teschio incompleto mancante di premascellare, squamoso e quadratojugale, che permette di stimarne la lunghezza intorno ai 145/150 centimetri.
Gran parte del torso e degli arti è stata ricostruita sulla base dell'olotipo di Carcharodontosaurus (Stromer 1931) IPHG1922X46, formato da una vertebra cervicale anteriore di grandi dimensioni (100 mm), un paio di costole dorsali, una vertebra caudale anteriore completa di chevron, un unguale dell'arto anteriore, parte dell'ischio e del pube, il femore misurante 126 cm di lunghezza e la fibula di 88 cm.
Oltre ciò, l'olotipo presentava anche numerosi denti, parte della mascella e del mascellare e diverse ossa del cranio, il nasale, il frontale, il parietale ed il sopraoccipitale.
Da altri reperti attribuiti a C.saharicus quali MNNHN (Lapparent 1960) sono state restaurate le vertebre cervicali e caudali intermedie, tuttavia esattamente come accadeva per la ricostruzione di Sereno del 1996, anche questa riporta le vertebre cervicali e caudali distali restaurate sulla base di ciò che è noto come Sigilmassasaurus brevicollis, un frammentario teropode gigante del nord Africa sinonimizzato con C.saharicus da Sereno, sulla base di evidenze discutibili.
Data la scarsa robustezza della sinomia è preferibile mantenere i due taxa distinti, continuando a considerare la ricostruzione scheletrica di C.saharicus attendibile (nonostante probabilmente dotata di piccole imperfezioni dovute alla ricostruzione di ossa ignote) sulla base di tutti i reperti riferiti a Carcharodontosaurus che la compongono e la restaurazione effettuata sulla base degli altri Allosauroidi giganti conosciuti legati a questo Taxon.

Sotto- Ricostruzione scheletrica di Carcharodontosaurus saharicus, la scale-bar, lunga un metro, permette di identificare la lunghezza dell'animale come compresa tra i 12 ed i 13 metri, (immagine aggiunta a puro scopo didattico).

giovedì 18 aprile 2013

Tyrannosaurids patology

I fori circolari presenti nella mandibola dell'esemplare di Tyrannosaurus rex FMNH PR2081, informalmente chiamato "Sue", sono noti ai più, e probabilmente i lettori più informati sapranno che la causa di tali anomalie è stata individuata nell'infezione dell'animale da parte di un protozoo affine a Trichomonas gallinae, un agente patogeno che affligge tutt'oggi diversi generi di uccelli, causando corrosioni alla cavità orale e spesso portando alla morte degli individui infetti.
Tuttavia la presenza di tale patologia è molto più estesa, infatti dopo aver analizzato sessantuno crani di Tyrannosauridi provenienti dal Cretacico superiore nordamericano
Steven W. Salisbury  ha riscontrato che nel 15% dei casi essi presentavano fori circolari del diametro compreso tra i pochi millimetri ed i cinque centimetri disposti in modo asimmetrico su uno od entrambi i lati della mandibola, riconducibili all'azione corrosiva della tricomonosi.
Dai risultati dell'analisi infatti è risultato che diversi taxa appartenenti alla famiglia dei Tyrannosauridi (Albertosaurus,Daspletosaurus,Tyrannosaurus) vissuti tra il Campaniano ed il Maastrichtiano contrassero una malattia simile a quella oggi trasmessa da T.gallinae.
Tale parassita può essere trasmesso tramite il contatto rostrale derivante da iterazioni tra individui della stessa specie (nei grossi Tyrannosauri è tipica la presenza di morsi sul muso derivanti da brutalità intraspecifica) o tramite l'accesso a fonti di cibo ed acqua infette, tuttavia la prima ipotesi appare più probabile sia a causa delle prove a noi pervenute riguardo l'agonismo intraspecifico presente nei Tyrannosauridi e nella sua espressione, sia per la difficoltà intrinseca nei parassiti portatori di tricomonosi di sopravvivere a lungo al di fuori di un ospite; tuttavia anche il cannibalismo e la nutrizione di animali infetti restano cause probabili di un eventuale contagio.
Inoltre nella maggioranza dei crani studiati le lesioni causate dalla patologia appaiono relegate nel margine caudale della mandibola, e questo è interessante perchè ci permette di ipotizzare che i predatori del Cretaceo possedessero una resistenza genetica alla tricomonosi, e che il loro sistema immunitario fosse in grado di tenere sotto controllo la malattia per lungo tempo, impedendo all'infezione di propagarsi ed evitando così di soccombere a causa dell'impossibilità di nutrirsi causata dalla grave infezione delle vie orali.
Un adattamento simile è osservabile oggi nei falchi che si nutrono principalmente di colombi, vettore primario di T.gallinae e conseguente infezione per questi animali, che presentano una naturale resistenza alla tricomonosi.
Naturalmente è impossibile verificare che l'infezione nei Tyrannosauri fosse provocata da T.gallinae, tuttavia esistono prove evidenti che una simile forma di tricomonosi flagellasse i Tyrannosauridi del Cretaceo superiore, ed è probabile che tale infezione aviana vide i suoi albori proprio durante questo periodo.

lunedì 15 aprile 2013

Scienza e Arte

In quest'ultimo periodo mi sono più volte soffermato a parlarvi di paleoarte, esaltando la bellezza di alcune delle opere che si possono definire come rientranti nell'ormai noto "filone" All Yesterdays e sottolineando, quando necessario, i limiti delle rappresentazioni troppo speculative, che possono perdere di vista alcuni dei punti cardine del connubio scienza-arte, senza i quali risulta impossibile poter restituire restaurazioni in vita di animali estinti in modo fedele ed attendibile a tutti i fruitori dell'arte.
In questo post vi voglio proporre esattamente questo:
Una tavola di (paleo)arte che, a discapito di un soggetto apparentemente vintage e certamente escluso dal contesto All Yesterdays, presenta ricostruzioni moderne ed accurate in un ambiente naturalistico, risultando contemporaneamente molto appagante dal punto di vista prettamente artistico.
I protagonisti della tavola sono un Ceratopside dalle spiccate caratteristiche giovanili (si notino morfologia e proporzioni delle corna e della gorgiera) ed un Tyrannosauride maturo, entrambi rappresentati con un superbo tegumento misto che supera la dicotomia piume/squame esattamente come accade in molti generi di arcosauri oggi esistenti.
In particolare il giovane Ceratopside risulta restaurato sulla base di Tianyulong e Psittacosaurus, ornitischi recanti tracce evidenti di un lungo piumaggio filamentoso distribuito sulla zona del torso e della coda, mentre per il grande Tyrannosauride è stato utilizzato un tegumento formato in larga parte da un (proto)piumaggio fitto e ben distribuito, probabilmente realizzato dopo la descrizione di Yutyrannus ed altri Tyrannosauroidi basali dotati di simili strutture.
Apprezzabile la realizzazione delle aree del corpo rappresentate come squamate, nel predatore, parzialmente in accordo con i frammentari dati attualmente in nostro possesso riguardanti il tegumento dei grandi Tyrannosauridi evoluti come Tyrannosaurus e Tarbosaurus (come già argomentato in un post precedente).
Inoltre, nonostante io abbia definito vintage la composizione, riferendomi al fatto che il rapporto di predazione tra Tyrannosaurus e Triceratops è stato ( è, e sarà) uno dei cliché della paleoarte, questa tavola mette in luce un rapporto di predazione a scapito degli individui giovanili, carattere tipicamente naturale ma poco appetibile artisticamente, spesso accantonato in favore di qualche battaglia tra giganti.
Cosa manca? Ah si l'immagine... eccola qui sotto

PS-La fonte da cui la tavola è stata tratta non riportava l'autore, tuttavia essa è firmata e colgo l'occasione per fare i complimenti al (paleo) artista.

venerdì 12 aprile 2013

All Yesterdays , ma non Solo

La forza iconografica, per molti aspetti innovativa, con cui si è imposto All Yesterdays ha dato uno scossone alla paleoarte, sradicando alcuni MEME che sembravano destinati a durare per sempre e importandone altri, come naturalmente avviene in ambito artistico.
Tuttavia, anche un fenomeno di emulazione portato avanti "in buona fede" rischia di trasformarsi in un pessimo servizio per una divulgazione sana della paleontologia, soprattutto in un ambito in cui (purtroppo) le immagine vengono assimilate ancora più velocemente dei dati.
Per questo motivo è meglio ricordare sia ai paleortisti freelance che ai semplici fruitori della (paleo)arte che esistono alcuni principi da tenere sempre presenti quando si restaura in maniera scientifica una creatura estinta:
Ogni struttura riflette una funzione (Cuvier docet) le evidenza e empiriche devono essere la base di ogni ricostruzione, partendo dalla morfologia scheletrica fino ad arrivare alle eventuali tracce tangibili di tegumento.
Eventuali inferenze relative alla mancanza di dati devono essere basate sui taxa più strettamente imparentati con quello che si sta cercando di ricostruire, al fine di evitare inutili speculazioni e di conseguenza minimizzando gli errori derivanti dalla ricostruzione di ossa non note.
Per quanto riguarda invece i tentativi di ricostruzione del comportamento di animali estinti è bene utilizzare come modello gli animali viventi più prossimi a loro, ed in questo caso specifico gli arcosauri.
Sapere che i Dromaeosauridi potevano utilizzare tecniche di caccia simili a quelle usate dai falchi odierni può essere un ottima base per la realizzazione di un opera paleoartistica naturalistica e corretta, che grazie alle capacità dell'artista può tranquillamente risultare visivamente appagante.
Inoltre, nonostante la carrellata di nuove idee ci sono cose che gradirei molto vedete ma che (mi sembra) nessuno abbia realizzato....
Alcuni esempi?
Sauropodi che si battono per la conquista di una potenziale partner durante il periodo dell'accoppiamento, Ankilosaurodi impegnati a fare qualsiasi cosa non sia spaccare la tibia ad un Tyrannosauride, brutalità intraspecifiche a fine gerarchico (ordine di beccata), Dromaeosauridi in amore, magari con un maschio corteggiatore impettito e più colorato della femmina...Quante speranze per il futuro.

lunedì 8 aprile 2013

Tyrannotitan: il grande escluso

In questo blog ho già parlato di come il sensazionalismo paleontologico possa precedere i dati ufficiali, portando alla nascita di nuove icone del Mesozoico spogliate completamente della propria essenza.
Bene, nel caso di Tyrannotitan chubutensis questo non è successo, se non in minima parte ed in modo quasi irrilevante.
E questo è un caso strano... Per quale ragione questo gigante del sud America non merita l'attenzione ignorante di una folla in delirio ?
In fondo Tyrannotitan ( Novas et al. 2005) è un Carcharodontosauride della Patagonia, i cui resti fossili risalgono all'Aptiano (Cretaceo 125/112 milioni di anni fa) e di conseguenza potrebbe essere il progenitore della sottofamiglia Giganotosaurinae, comprendente i ben più noti Carcharodontosauridi giganti Giganotosaurus carolinii e Mapusaurus rosae, vissuti almeno dieci/quindici milioni di anni dopo Tyrannotitan.
Inoltre, nonostante i fossili attribuiti a quest'ultimo non permettano di ricostruirne totalmente lo scheletro Tyrannotitan non appare più frammentario di altri appartenenti alla sua famiglia, infatti sono noti parte del dentale, diverse vertebre dorsali e costole, cinto scapolare e coracoide (particolarmente sviluppato), parte dello jugale, denti, parte dell'ileo e del pube, fibula e femore, il quale misura 140 centimetri.
Quest'ultimo dato è importante (anche al fine di questa "analisi'' sociologica), poiché in accordo con le dimensioni delle altre parti dello scheletro ci permette di stimare per l'animale una lunghezza superiore agli 11 metri, in grado di farlo rivaleggiare con altri theropodi giganti, permettendo ai sensazionalisti di gridare "lunga vita al nuovo re dei dinosauri!''.
Tuttavia esistono caratteristiche molto più interessanti estrapolabili dalla morfologia delle parti dello scheletro note di questo gigante, infatti Tyrannotitan chubutensis appare come un membro basale dei carcharodontosauridi più massiccio rispetto ai già citati appartenenti alla sottofamiglia Giganotosaurinae, dotato di alte spine neurali soprattutto nelle vertebre dorsali più prossime alla coda, di arti anteriori meno sviluppati rispetto ai Carcharodontosauridi più evoluti e di caratteristici denti diagnostici dotati di denticoli bilobati e di una scanalatura nel mezzo.
Alcune di queste caratteristiche potrebbero suggerire che Tyrannotitan chubutensis occupasse una nicchia ecologica diversa dai Carcharodontosauridi simpatrici più evoluti, e che Tyrannotitan in questo fosse più simile al suo parente africano C.saharicus, ma per ora è meglio non aggiungere nulla a riguardo, in attesa di nuovi e più completo studi relativi al materiale attribuito a Tyrannititan.
D'altro canto, tornando alle origini del post il tiranno titanico possiede anche un nome cool, quindi proprio non capisco il perché di questo disinteressamento da parte del grande pubblico...

Sotto- ricostruzione dello scheletro di T.chubutensis con le parti mancanti dello scheletro restaurate sulla base di altri Carcharodontosauridi giganti.

venerdì 5 aprile 2013

Le vocalizzazioni di Velociraptor e il canto dell'Usignolo

Il terzo film della saga di Jurassic Park ha lasciato a desiderare sotto molti aspetti, sia per quanto concerne l'aspetto puramente artistico-intrattenitivo, sia sotto l'aspetto (para)scientifico, rimpiazzato da un modello caricaturale degli stessi dinosauri che avevano reso famoso il marchio JP  negli anni '90.
Le più grandi vittime di questa tendenza sono stati ancora una volta i Dromaeosauridi della serie, che in pochi mesi hanno dovuto colmare un gap di milioni di anni di evoluzione apprendendo un "linguaggio fatto di vocalizzazioni complesse" simile a quello individuato e studiato nei cetacei o nei primati.
Ora mentre questa associazione arcosauro/ mammaliane sono assolutamente superflue ed ignoranti, credo che provare a comprendere il "canto" degli uccelli possa essere un utile mezzo per ampliare la nostra conoscenza dei dinosauri paraviani.
Naturalmente è impossibile conoscere con esattezza i suoni ed i richiami che i dinosauri potevano emettere, e la plausibile diversità dei versi animali del mesozoico formano ormai un concerto che si è perso nel Tempo Profondo, tuttavia gli schemi di suoni ripetuti oggi dalle diverse specie di uccelli nelle diverse circostanze possono aiutarci a comprendere alcune caratteristiche etologiche dei dinosauri rientranti nei cladi più prossimi ad Avialae.
Secondo la scienza moderna infatti, il canto degli uccelli va considerato come un linguaggio non-verbale e non articolato, rispondente a situazioni che si verificano nella sfera biotica degli animali che ne rendono possibile la decodificazione. Tali situazioni riguardano stati di pericolo, disagio, aggressività, richiesta di cibo e corteggiamento.
È noto infatti che tanto i maschi, quanto le femmine di un vastissimo numero di specie di uccelli usino i loro canti in abbinamento a danze o movimenti rituali per far fronte ai momenti più critici ed importanti della propria vita.
Non è improbabile quindi ritenere che i dinosauri paraviani utilizzassero richiami e vocalizzazioni intraspecifiche con finalità simili a quelle degli uccelli odierni, tanto più tenendo in considerazione le peculiarità comportamentali di questi animali che sono giunte fino a noi grazie ad alcuni fortuiti casi di fossilizzazione che hanno congelato madri Oviraptorosauriae in posizione di cova sui nidi e Velociraptor che combattono in maniera simile agli odierni passeriformi.

mercoledì 3 aprile 2013

Walking with Titans

Le tracce fossili sono una testimonianza straordinaria poiché possono fornire informazioni preziose riguardanti alcuni aspetti della vita degli animali estinti che sarebbero difficilmente intuibili sulla sola base dei fossili.
Una di queste possibili informazioni ricavabili dalle tracce riguarda l'andatura degli animali, ed è con estremo piacere che in questo post parlerò del lavoro pubblicato recentemente da Vila et al. (2013), riguardante proprio la locomozione nel clade che ha restituito le pii grandi ossa di vertebrati terresti, ossia Titanosauria.
Lo studio si basa sulla comparazione di 11 piste fossili rinvenute nella Tremp Formation (Catalogna), attribuibili a diversi generi di titanosauridi di diverse dimensioni vissuti nel Maastrichtiano nell'area degli attuali Pirenei, ed ha portato all'individuazione di una serie di caratteristiche anatomiche distintive probabilmente distribuite in buona parte del clade.
È infatti emerso che le tracce presentano diverse caratteristiche in comune a prescindere dalle dimensioni delle stesse, come un simile rapporto manus-pes, ossia il rapporto della distanza tra le orme lasciate dagli arti anteriori e quelle lasciate dalle zampe posteriori, attestato come vicino al valore 1:3 in tutte le tracce, ed un calibro simile, dato che tutte le tracce presentano una maggior pressione nelle orme a forma di U lasciate dagli arti anteriori rispetto a quelle impresse dagli arti posteriori.
Secondo gli studiosi tali dati suggeriscono una morfologia strutturale simile per tutti i titanosauri (quanto meno per quelli vissuti nella Tremp Formation durante il Cretaceo superiore) che, nonostante le dimensioni molto diverse, dovevano avere proporzioni degli arti e del torso simili, e che in particolare sulla base di ciò che è estraibile dalle tracce, dovessero avere un rapporto gleno-acetabolare (ossia il rapporto tra cinto pelvico e cinto scapolare) proporzionalmente simile, il che si traduce in un'andatura caratteristica tipica del clade.
Vila et al. infatti concludono che i Titanosauri possedevano una particolare andatura di tipo ambo passo, per cui gli arti omolaterali si muovono quasi in sincronia, in maniera simile al passo dei cavalli, rispetto ai quali però i titanosauri dovevano essere infinitamente più lenti, con una velocità stimata dagli autori di circa un metro al secondo sulla base delle tracce analizzate in Catalogna.