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martedì 30 luglio 2013

"Immaginate di essere nel periodo Cretaceo" (Alan Grant)

In una delle scene iniziali della pellicola a dinosauri più famosa degli ultimi vent'anni il paleontologo protagonista apostrofa un ragazzino relativamente lungimirante ma indisciplinato.
Ma come sarebbe l'impatto fisico che avremmo "visitando" il nostro mondo durante il Maastrichtiano?
Il primo shock lo avremmo a livello di ventilazione, infatti dovremmo fare i conti con un aria altamente ossigenata, e di conseguenza i nostri primi respiri nel mondo del Mesozoico ci farebbero bruciare i polmoni, come se venissimo al mondo una seconda volta.
Superato questo primo ostacolo, mentre il respiro ed i battiti cardiaci ritornano ai livelli standard, sentiremmo sul viso un aria pregna di umidità accompagnata da elevate temperature.
Con i vestiti già appiccicati alla nostra pelle i nostri sensi sarebbero colpiti da numerosi stimoli:
Potremmo udire il canto ed i richiami riecheggianti tra gli alberi di diverse specie di uccelli (e altri dinosauri alati) senza però riuscire a vederli, il nostro sguardo sarebbe sintomatica attratto da macchie colorate nel verde più intenso circondate da nugoli di insetti atti ad impollinare i fiori e con un po' di fortuna potremmo osservare alcuni dei primi alberi da frutto che il nostro pianeta abbia mai ospitato (i più coraggiosi potrebbero provare anche ad assaggiare i frutti ma nessuna agenzia di viaggio consiglia questa pratica).
Dopo tale sbigottimento l'afa e la disidratazione conseguente la sudorazione ci spingerebbe a cercare una fonte d'acqua dolce che, con un minimo di arguzia, potremmo trovare seguendo il volo di alcune grosse libellule dai colori sgargianti che si corteggiano e si riproducono presso acquitrini e paludi.
Il nostro primo incontro con la fauna vertebrata locale avverrebbe proprio in procinto di uno specchio d'acqua dove diverse tartarughe fanno capolino cercando di accaparrarsi i raggi del sole che oltrepassano la volta verde sopra le nostre teste.
Mentre ci rinfreschiamo con l'acqua più pura che abbiamo avuto l'onore di toccare durante l'intero arco della nostra vita sarebbe saggio controllare che non ci siano coccodrilli intorno a noi, prestando occhio anche a quelli che sembrano tronchi galleggianti nonostante gran parte della attenzione possa comprensibilmente essere monopolizzata dagli stimoli uditivi.
Dopo questa sosta rigenerante potremmo procedere al di fuori di quest'area densamente alberata attratti da quelli che potrebbero sembrare profondi muggiti, e scostando la vegetazione che ci ostruisce la visuale, sulla quale si spostano grosse lumache, arriveremmo in una vasta radura dove, con un tonfo al cuore, balbetteremmo "È un dinosauro" di fronte ad una manciata di grossi Ceratopsidi totalmente disinteressati alla nostra presenza.
Adesso potete sfiorare il vostro Triceratops.

Sotto- Impressioni della pelle di Triceratops

sabato 27 luglio 2013

Torosaurus utahnensis

Ultimamente a causa di una serie di eventi mi sono (re)interessato all'idea del "Toroceratops" (argomento sul quale avevo già speso una manciata di parole nel post "Evoluzione Chasmosaurina... o No?") , ossia la teoria secondo la quale Torosaurus altro non sarebbe che una forma pienamente matura di Triceratops proposta nel 2010 dai paleontologi Horner e Scannella (senza dimenticare Nedoceratops, considerato come forma ontogenica transazionale).
Nel loro studio i paleontologi restano a livello generico, senza fornire spiegazioni riguardo a quale specie di Triceratops siano riconducibili gli esemplari maturi etichettati come Torosaurus (a rigore di logica direi T.horridus), e senza addentrarsi nel sottobosco specifico dei due generi.
D'altro canto invece la mia curiosità mi ha spinto ad indagare su di un numero maggiore di taxa tutti considerati a livello subgenerico, ossia Triceratops horridus, T.prorsus, "Eotriceratops" xerinsularis ( qui il motivo) e naturalmente Torosaurus latus e T.utahnensis.
Al termine di questa personale ricerca non sono giunto a nessuna conclusione "nuova" od innovativa, ed anche il mio personale pensiero riguardo l'intera faccenda non è cambiato, restando in accordo con l'articolo di Longrich e Field (2012) secondo cui Triceratops e Torosaurus siano taxa ben distinti.
Tuttavia ho trovato particolarmente interessante la specie meno conosciuta del genere Torosaurus, sulla quale farò un po' di chiarezza in questo post.
Descritto nel 1946 da Gilmore (originariamente "Arrhinoceratops" utahnensis) sulla base dell'olotipo USNM 15583 proveniente dalla North Horn Formation (Utah) è noto tramite lo squamosale destro, lo jugale, l'osso quadrato, il quadratojugale, l'epijugale, il lacrimale e la regione orbitale dotata di corno sopra orbitale.
Ricombinato in T.utahnensis da Lawson nel 1976 esso si distingue dalla specie tipo nell'avere squamosale relativamente più corto e squadrato (in T.latus esso è triangolareggiante) e base delle corna orbitali insolitamente espansa oltre che da squamosa le privo di barra mediale ispessita lungo la sutura parietale e parietale dotato di epipatietale sulla linea mediana (Hunt e Lehman 2008).
USNM 15583 attualmente considerato l'unico esemplare di T.utahnensis (dopo Sullivan et al. 2005, anche se altri due esemplari provenienti dal Texas potrebbero appartenere a questa specie) potrebbe essere relativamente più antico di Torosaurus latus proveniendo da strati datati 70/66 milioni di anni fa e potrebbe mettere in crisi le similitudini tra distribuzione stratigrafica e geografica delle due maggiori specie di Chasmosaurini Maastrichtiane nordamericane.

martedì 23 luglio 2013

A Testa Bassa

Eccoci giunti al centesimo post di questo blog!
Per l'occasione ritorno su un argomento già trattato in precedenza, ossia la funzione della caratteristica cupola ossea tipica di Pachycephalosauria.
Nell'ultimo post dedicato all'argomento ed  interamente incentrato su di una cupola aberrante proveniente dal Montana e descritta da Farke et al. (2012) (http://lucertoleterribili.blogspot.it/2013/03/botte-da-orbi-e-pachycephalosauri.html), scrissi come
ulteriori analisi effettuate su di un ampio campione fossile avrebbero potuto rendere un quadro plausibile dell' etologia di questi animali, e bene questo mese Peterson et al. pubblicano un articolo in cui espongono i risultati degli studi effettuati su 109 cupole fossili attribuibili a diversi generi di Pachycephalosauri.
Dallo stesso emerge che il 22% delle cupole presenta segni di Osteomielite (un infezione ossea tipicamente conseguente a traumi esposti) o segni di ferite recanti tracce di successiva guarigione, e di conseguenza non interpretabili come artefatti tafonomici.
Gran parte di esse si concentrano sulla superficie dorsale o lungo gli ispessimenti della cupola, e come sottolineato dagli autori la distribuzione delle ferite non è casuale.
Confrontandole infatti con quelle presenti sui crani degli attuali ovidi atti al combattimento testa a testa si notano forti somiglianze tra le depressioni ed i crateri presenti sulle cupole fossili ed i segni delle ferite presenti sui crani degli ovidi viventi, caratteristica che sosterrebbe una similitudine nell'etologia di questi animali*.
L'articolo inoltre mette in luce un secondo punto molto interessante, ossia come le ferite siano percentualmente molto più diffuse negli individui aventi cupola completamente formata, mentre negli esemplari aventi testa piatta o cupola abbozzata tali aberrazioni siano completamente assenti suggerendo che solo una ristretta cerchia di animali (probabilmente i maschi adulti anche se non è possibile escludere che fossero le femmine se i Pachycephalosauridi fossero stati poliandrici) utilizzassero tali strutture, e che di conseguenza esse avessero funzione di agonismo intraspecifico.
La percentuale di infortuni riscontrata è la più alta fra quelle rinvenute tra i cladi considerati propensi a comportamenti di sfida intraspecifica, rafforzando l'ipotesi che la cupola fosse attivamente usata come arma, tuttavia è plausibile pensare che spesso gli scontri si esaurissero in dimostrazioni di forza con la cupola utilizzata a scopi di ostentazione al fine di diminuire la possibilità di restare feriti in scontri fisici.
Ad ogni modo i dati emersi dall'articolo supportano in modo forte l'utilizzo attivo della cupola da parte di numerosi generi di sauri dalla testa a cupola invertendo il trend delle ipotesi riguardante tale complessa struttura.

*Metto le mani avanti, in questo caso vengono  confrontate le strutture craniche dei Pachycephalosauridi e degli ovidi per plausibile analogia funzionale e conseguente similitudine nella morfologia dei traumi, non vi è nessun tipo di inferenza comportamentale basata sui mammiferi e "trasferita" ai dinosauri.

Sotto- Esempi di aberrazioni presenti nelle cupole frontoparietali (immagine aggiunta a puro scopo didattico).

La bellezza di Oviraptor: Pavoneggiamento

Quest'anno sono stati pubblicati due articoli interessanti riguardanti la funzionalità biomeccanica delle code dei theropodi prossimi ad Avialae, rispettivamente pubblicati da Persons et al. e Pittman et al.
Da essi risulta che mentre la morfologia delle lunghe code dei Dromaeosauridi appare progettata come uno stabilizzatore dinamico atto a spostarsi lateralmente per controbilanciare il peso dell'animale, le corte e caratteristiche code presenti in Oviraptotosauria sembrano essere strutturate per scopi diversi.
Le prezigapofisi corte e larghe unite ad un corto centra vertebrale presenti sulla coda infatti avrebbero permesso ad essa un'ampia gamma di movimenti, sia lateralmente che verticalmente.
Inoltre la morfologia caudale appare adatta all'ancoraggio di forti muscoli, utili per scuotere energicamente la coda e per irrigidire attivamente la stessa.
Tali caratteristiche, unite alla presenza di un pigostilo (struttura costituita dalla fusione delle ultime vertebre caudali che negli uccelli sostiene le penne timoniere) suggeriscono che la coda degli Oviraptorosauri fosse progettata per sostenere fronde di piume terminali facendo uso attivo dell'elevata mobilità articolare per produrre una vasta gamma di movimenti display, affini a quelli oggi utilizzati dagli uccelli durante il corteggiamento.

Sotto-  Pavo cristatus e Similicaudipteryx yixianensis durante il rituale di corteggiamento.

lunedì 22 luglio 2013

Tyrannosaur plumage

Eccomi di nuovo in auge sulle pagine di questo blog cari lettori, è da qualche tempo che non soddisfò il vostro paleo-appetito eh ?
Ritorna un questo post un "must" di questo blog, una nuova superba tavola ritraente un esemplare di Tyrannosauride dall'Alberta in tutto il suo piumato splendore.
L'animale naturalistico ed ottimamente ritratto nel suo ambiente, all'interno del quale si amalgama apparendo in grado di mimetizzarsi e nascondersi tra la vegetazione innevata al fine di favorire l'attività predatoria.
Ancora una volta una tavola pregiata che si pone al di fuori dei canoni standard che pervadono le restaurazioni dei Tyrannosauridi, e che (molto) probabilmente rendono maggior giustizia a questi animali.

Sotto- La splendida tavola di Philip 72

sabato 13 luglio 2013

Paleodieta

Mallon e Anderson (2013) pubblicano un interessante articolo riguardante il partizionamento delle nicchie ecologiche all'interno della Dinosauri Park Formation (Campaniano, Alberta), soffermandosi sulla dieta dei grandi erbivori della formazione.
Gli autori, applicando metodi morfometrici classici ai crani di diversi generi di tre grandi famiglie di megaerbivori, Ankylosauria, Ceratopsidae e Hadrosauridae, giungono ad interessanti conclusioni riguardo la plausibile ecologia degli animali.
Infatti mentre non emergono prove di partizione alimentare all'interno delle stesse sottofamiglie (motivo per cui probabilmente le sovrapposizioni di taxa di un'unica sottofamiglia in un soli strato sono relativamente rare), i dati della ricerca mostrano come sia possibile individuare ecologie diverse per gli animali delle diverse famiglie, sia come all'interno delle stesse esistano ripartizioni alimentari, probabile chiave della diffusione e del successo dei taxa.
In particolare l'ecomorfologia suggerisce che gli Ankilosauridi possedessero un morso debole, e che fossero idonei a mangiare piante basse relativamente tenere, lasciando gli arbusti più coriacei agli esponenti della loro sister-family Nodosauridae, dotati di un morso più forte e di conseguenti strutture craniali atte a dissiparne lo stress.
Situazione analoga la ritroviamo anche all'interno di Ceratopsidae, dove a fianco di una maggiore forza del morso (dovuta alla generale morfologia del cranio) gli esponenti della sottofamiglia Centrosaurinae appaiono meglio adattati ad una dieta composta principalmente da vegetazione coriacea a causa della maggiore altezza relativa del cranio rispetto a Chasmosaurinae, seppur entrambe le sottofamiglie appaiono adattate a foraggiare dal luvello del terreno fino ad oltre un metro d'altezza, ben oltre il limite individuato per Ankilosauria, i cui esponenti erano costretti a nutrirsi vicino al suolo.
Per quanto riguarda Hadrosauridae la morfologia cranica suggerisce vantaggi mandibolari meccanici simili a quelli riscontrati in Ceratopsidae, tuttavia la dimensione totale del cranio dei "becchi d'anatra" suggerisce una forza del morso minore rispetto a questi ultimi.
Inoltre entrambe le sottofamiglie, Hadrosaurinae e Lambeosaurinae si presentano capaci di brucare fino a quattro metri di altezza, ben oltre la portata di qualsiasi esponente delle famiglie sopradescritte.
Nonostante non emergano prove che una delle due sottofamiglie fosse meglio attrezzata rispetto ad un altra per nutrirsi diversi metri sopra il livello del suolo pare che gli Hadrisaurinae fossero meglio adattati a nutrirsi di vegetazione coriacea.

venerdì 12 luglio 2013

Qualcosa di Nuovo

Finalmente una tavola ritraente Ornithopodi attivi, e non destinati ad essere foraggio per il theropode di turno.
Nel caso specifico una coppia di maschi della specie Altirhinus kurzanovi (Norman 1998) si sfidano in un duello testa a testa, privando Marginocephalia del monopolio sulle cozzate paleoartistiche!
L'artista Sergey Krasovskly (Atrox 1 on Deviant Art) possiede uno stile affermato, e molto particolareggiato, e consiglio a tutti i miei lettori di spendere un po' di tempo sfogliando la sua galleria, non ve ne pentirete.

Sotto- La splendida (ed originale!) opera che solleva gli Ornithopodi dal loro classico ruolo di prede.

mercoledì 10 luglio 2013

Il pasto di Allosaurus

Recentemente ho avuto modo di parlare di "Big Al", MOR 693, sottolineando come esso appaia più affine alla specie A.jimmadseni che alla specie tipo Allosaurus fragilis, tuttavia quest'anno l'esemplare è stato utilizzato per costruire un modello anatomico dinamico della testa e del collo dell'animale che ha suggerito un modello ecologico interessante, seppur non inatteso.
Snively et al. al (2013) infatti presentano il modello dell'apparato di alimentazione del grande carnivoro, con inserzioni muscolari e forza stimata degli stessi, ricostruite sulla base di numerosi studi precedenti (da Snively e Russel 2007 a Tsuihiji2010) che permettono di simulare i movimenti della testa e del collo di Allosaurus sp.
Per consentire il miglior grado di approssimazione il modello è stato realizzato tramite tomografia computerizzata e modellato simmetricamente in modo da correggere le deformazioni tafonomiche del fossile, ed è stato corredato oltre che dei muscoli anche delle parti molli.
In particolare è stato modellato uno spazio per le vie aeree e la ragione olfattiva, mentre per la modellazione dei tessuti molli e dei corrispettivi ossei dell'orecchio gli autori si sono basati sulle ricerche di Witmen e Ridgely (2008) e Dufeau (2011).
Particolare importanza è stata data alla modellazione della trachea, generata sulla base dell'equazione di Hinds e Calder (1971), relativa alla media del diametro tracheale negli uccelli, e stimata (provvisoriamente) intorno ai 4,0 cm.
Per quanto riguarda la densità dei tessuti gli autori hanno utilizzato 1060 kg/m³ per il collo a causa della notevole muscolatura dello stesso, la densità ossea e le plausibili sacche aeree sette a pneumatizzarlo, e 1050 kg/m³ per la testa, considerata l'alternanza nel cranio di tessuti densi e spugnosi.
I risultati mostrano come Allosaurus esercitasse una forza maggiore lungo l'asse dorso-ventrale rispetto a quello medio laterale (in maniera opposta rispetto ai Tyrannosauridi) e come il muscolo lingissimus capiti contribuisse per circa un quarto del lavoro alla flessione, la cui massima accelerazione avveniva quando la testa era profondamente flessa rispetto al collo.
Sul piano ecologico tali informazioni suggeriscono che Allosaurus sfoggiasse dinamiche nutrizionali rapaci, bloccando le carcasse delle prede con gli arti posteriori e strappandone la carne ed i muscoli attraverso poderose flessioni della testa.

Sotto-Il team di ricercatori immortalati con il cast del cranio e delle vertebre cervicali di MOR 693 ed il modello in questione.

Eat like a dinosaur

Preludio ad un post futuro...

Sotto-il pasto del falco pellegrino.

lunedì 8 luglio 2013

North VS South

Su segnalazione di Gigadino (uno dei miei commentatori più assidui) consiglio a tutti voi -cari lettori-di leggere l'ultimo post redatto da S. Hartman e caricato nel suo blog "Skeletal Drawing"
(Link http://www.skeletaldrawing.com/home/mass-estimates-north-vs-south-redux772013#commenting).
Esso tratta di un argomento già affrontato su questo blog, ossia una stima della massa dei Carcharodontosauridi giganti, nel caso specifico Giganotosaurus carolinii, messo a confronto
(tanto per cambiare) con Tyrannosaurus rex, utilizzando un approccio diverso da quello riportato/usato dal sottoscritto (quale? Andate a leggere il post dai!).
Il risultato è interessante, poiché nonostante il diverso percorso compiuto, le stime raggiunte da mr Hartman non sono poi così dissimili dalle mie, con FMNH PR2081 ("Sue") stimato oltre le otto tonnellate (8,4 t) e MUCPv-ch1 (olotipo di G.carolinii) compreso tra sei e sette tennellate (6,8 t).
Variazioni ridotte a poche centinaia di chili all'interno di stime effettuate su animali della massa di diverse tonnellate non fanno che confermare la plausibilità del trend generale, osservabile anche nelle silhouette raffigurate dall'artista in cui è possibile notare alcune delle differenze morfologiche tra i due animali e già ampiamente dibattute in questo blog.
Per quanto riguarda invece la stima effettuata sul secondo esemplare di G.carolinii,  MUCPv-95 invito come al solito alla cautela ricordando che esso è noto solo tramite un dentale, più robusto certo rispetto a quello olotipico, ma che non ci dice niente riguardo le dimensioni dell'esemplare stesso a causa dell'impossibilità di ottenere dati plausibili da un ipotetica scala isometrica (esempio lampante se fosse noto solo il mascellare di Sue avremmo potuto stimare un esemplare del 25% più grande dell'olotipo, mentre l'intero scheletro di FMNH PR2081 è in realtà solo del 5% circa maggiore dell'olotipo stesso!).

Sotto-copertina del post di S. Hartaman sopralinkato

giovedì 4 luglio 2013

La Fine di un Mito: C'era una volta Spinosaurus

In un post precedente prettamente personale condivisi con voi -cari lettori- una restima del cranio di Spinosaurus, basandola sul rostro esposti al museo naturale di Milano (in modo particolare sul premascellare) e "completandola" (detto così è assai riduttivo) con la regione orbitale e postorbitale di Irritator, spinosaurude filogeneticamente affine a Spinosaurus e di cui è noto il cranio più completomattualmente in nostro possesso attribuibile al clade.
La stima risultante si avvicinava molto ai 150 cm, e (come previsto) generò una valanga di commenti.
Nel tentativo di moderare la discussione feci una mezza promessa dicendo che, se avessi avuto tempo, avrei realizzato una versione HiFi della mia ricostruzione tentando di minimizzare l'errore relativo (comunque ineliminabile).Scrivendo quel commento  mai avrei pensato che tale operazione sarebbe stata compiuta da un autorità delle ricostruzioni scheletriche, Scott Hartman (Shartman on Deviant Art).
Invece dopo un interessante scambio di opinioni tra me ed il paleontologo riguardo MSNM V4047 (avvenuto su Skeletal drawing) è stato lo stesso Mr. Hartman a realizzare la ricostruzione (basata oltre che sullo stesso rostro milanese ed Irritator anche su alcune fotografie di esemplari attribuiti a Spinosaurus non ancora pubblicate), la quale anche in questo caso non raggiunge i 160 cm.
Esatto, il blasonato cranio di 175-200 cm non trova il minimo riscontro neppure in questa ricostruzione, nella quale tocca i 158 cm ( previsto seppur come limite massimo anche nella mia ricostruzione).
Ma non è tutto!
Il paleontologo italiano Andrea Cau sul suo blog "theropoda" ha riproposto la medesima ricostruzione (giungendo anch'esso ad un risultato assai lontano dal super-cranio, e compreso tra i 130 ed i 145 cm) ma, elemento assai più importante, ha dimostrato utilizzando Tyrannosaurus e Nanotyrannus come taxa di controllo come tale estrapolazione sia effettivamente verosimile per quanto riguarda una mera estrapolazione dimensionale, risultando invece carente nel fornire un ritratto plausibile della morfologia craniale dell'animale.
L'ultimo post riguardante le dimensioni del cranio di Spinosaurus lo conclusi dicendo che la mia estrapolazione non portava a nessun eclatante cambiamento (per quanto non supportasse la teoria del Megaspinosauro), questa volta voglio essere ottimista sperando che l'ottimo lavoro dei due paleontologi citati possa essere canale di una diffusione seria e matura della paleontologia e possa comportarsi da "filtro" scremando stime ed ipotesi prive di fondamento.

Naturalmente non posso che consigliare a tutti voi di leggere i post pubblicati da Andrea Cau su "Theropoda.blogspot" (molto dettagliati ) e di ammirare le ricostruzioni di S. Hartman presenti su "Skeletal drawing".

lunedì 1 luglio 2013

Allosaurus species: atto terzo

Nel secondo post di questa serie (che trovate sul blog) sottolineai come il materiale più interessante proveniente da un eventuale specie di Allosaurus differente da quella tipo, fosse quello riferito ad A. "jimmadseni", proveniente dal Kimmeridgiano della Morrison Formation, e di conseguenza relativamente più antico rispetto alla specie tipo A.fragilis.
A questa specie sono ascritti diversi esemplari a diversi stadi ontogenici, i più completi dei quali sono DINO 11541 (Chure 2000) un esemplare subadulto molto ben conservato recante la metà destra del cranio (che misura 630 mm), la mandibola, colonna presacrale (oltre 1,8 m), dieci vertebre cervicali e tre costole, dodici vertebre dorsali e dieci costole, parte della gastralia, il sacro (438 mm), diverse vertebre caudali e 17 chevron, scapola, coracoide (133mm), omero, radio ulna, carpale, manus, femore (658 mm), tibia, fibula, astragolo, metatarsali e falangi e BYU 571/8901 (Smith et al. 1999) un esemplare maturo dotato di cranio incompleto, mandibola, scapola coracoide, omero, pube, femore, tibia e secondo metatarsale.
La specie è diagnosticata (dopo Chure 2000) dall'avere fossa nariale meno definita rispetto ad A.fragilis, fila di forami neurovascolari nel mascellare sottostanti la finestra antiorbitale, grande forame tra il lacrimale e lo jugale , grande antro mascellare, margine ventrale dello jugale dritto, parietali fuse posteriormente e più alte che larghe in vista posteriore, recesso basipterigoideo ben marcato ed invasivo, processo retroparietale più corto posteriormente, finestra mandibolare a forma di lacrima, anatomia spinale differente rispetto ad A.fragilis (con spine neurali allungate posteriormente o dirette caudalmente), cresta medio distale del femore fortemente sviluppata, coracoide sottile anteriormente e scapola meno sviluppata rispetto alla specie tipo, arti anteriori più gracili (in modo particolare l'ulna).
Perché vi sto propinando questo polpettone?
Semplice perché molto del materiale descritto come appartenente ad Allosaurus sp. ind. (Specie indeterminata) non è mai stato analizzato alla luce di Allosaurus "jimmadseni", ed in particolare, un esemplare celeberrimo ed estremamente completo, MOR 693 (maggiormente noto al grande pubblico come Big Al) pare possedere diverse caratteristiche in comune con esso.
A causa della scarsità di materiale fotografico reperibile degli esemplari di A."jimmadseni" diversi da DINO 11541 la mia comparazione è basata proprio su questo esemplare, ed è possibile che alcune similitudini (relative ad allometrie craniche) siano riconducibili a fattori ontogenici, in quanto entrambi gli esemplari sono subadulti di lunghezza compresa tra i 5 ed i 6 metri, tuttavia entrambi gli esemplari sono fortemente distinti dagli esemplari attribuiti alla specie tipo, e MOR  693 appare maggiormente simile ad A."jimmadseni" rispetto ad A.fragilis specialmente per quanto riguarda la morfologia delle finestre craniali, l'osso jugale piatto, le proporzioni degli arti anteriori (proporzionalmente più piccoli rispetto alla specie tipo), la morfologia dell'ischio  e l'anatomia spinale.

Sotto- Il cranio di Big Al durante la sua preparazione, crani di Allosaurus "jimmadseni" e ricostruzione montata di MOR 693


Paul taxonomy strike back !

Una combinazione tassonomica Pauliana dal fascino retrò.
Anelata meraviglia di molti Jurassic fan ed ennesima riprova della centralità di Deinonychus come taxon-chiave all'interno del suo clade.