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mercoledì 27 febbraio 2013

Non capisco questa mentalità retrograda... (cit. J. Hammond)

Quando ero un bambino mi dilettavo, come molti, a disegnare i dinosauri, e spesso, in barba al fatto che tutti volessero costringermi a colorareli di verde, li rappresentavo coloratissimi e spesso striati, conscio, nonostante la tenera età, che le lucertole del giardino della scuola non fossero l'unico "buon modello" utile per rappresentare le creature del mesozoico.
Nonostante questo non riuscì mai a dare vita ad un capolavoro, e la livrea dei miei dinosauri sembrava sempre la brutta copia di quella di un pitone reticolato.... ma stendiamo un velo pietoso e andiamo avanti.
Oggi invece, conoscendo le relazioni tra uccelli e dinosauri, e grazie alle nuove scoperte riguardo il tegumento di questi ultimi (si, sto parlando di penne e protopiume) sarebbe possibile realizzare opere estremamente realistiche, dinamiche e colorate (come molti paleoartisti  famosi e no stanno facendo) ma queste probabilmente non sarebbero accettate dal pubblico.
Insomma il concetto è questo:
UN SACCO DI GENTE ODIA I DINOSAURI PIUMATI, al punto da chiudere gli occhi davanti ad ogni evidenza fossile e tirando dritto per la sua strada.
Ebbene ormai sono giunto a pensare che ci sia un legame direttamente proporzionale tra l'ignoranza degli appassionati ed il loro astio verso le piume.
I sopracitati "appassionati" temono che i dinosauri piumati possano per qualche motivo perdere la loro dignità, somigliando a tacchini del peso di diverse tonnellate.
In questa linea di pensiero troviamo oltre alla mancanza di rispetto nei confronti del tacchino anche l'idea che i dinosauri debbano per forza essere cool secondo lo standard dei draghi medioevali.
Quest'ultima frase ha un risvolto interessante, in quanto volendo mettere sullo stesso piano draghi e dinosauri si trasportano questi ultimi fuori dall'insieme Natura trasferendoli nel sottoinsieme Mito dell'insieme Mente (umana), naturalmente attrezzata ad elaborare ed a volte a snaturare le informazioni.
Chiunque sostenga che non possano essere esistiti dinosauri piumati quindi non fa altro che proiettare i propri miti draconici su uno scenario sgretolatosi milioni di anni fa, ma è come se sostenesse che gli uccelli non volano, ne più ne meno.
Per concludere, non se ne può più di "Leghe anti sauri-piumati" ignoranti ed anacronistiche, sono troppe e tutte sterili di argomentazioni e contenuti.

lunedì 25 febbraio 2013

Lucertole Cornute

Scott Hartman è sicuramente uno dei migliori paleoartisti in circolazione, e le sue ricostruzioni scheletriche ad alta fedeltà sono assolutamente pregevoli.
In una delle sue illustrazioni (''Ceratosaurus wasn't a wuss'' by Shartman on Deviant Art) l'artista rappresenta tre diverse fasi ontogeniche di Ceratosaurus nasicornis, assumendo l'olotipo di C.nasicornis come forma giovanile, e rappresentando come esemplare completamente maturo UMNH VP 5278, ossia l'olotipo di Ceratosaurus dentisulcatus, in accordo con la sinomia proposta da Carrano e Sampson (2008) e ribadita da Carrano et al. (2012) secondo cui le specie C.magnicornis e C.dentisulcatus provenienti (come la specie tipo) dal Giurassico nordamericano sarebbero da considerarsi appunto sinonimi di Ceratosaurus nasicornis.
Come sottolineato dallo stesso artista la scelta è ricaduta su questo esemplare (noto alla scienza sin dagli anni '70) sia per le sue dimensioni straordinarie (la tibia misura 594mm contro i 554 dell'olotipo) sia per il maggior grado di ossificazione presente nell'esemplare che indicherebbe la completa maturità dell'animale al momento della morte.
In base agli elementi fin qui citati l'illustrazione di Hartman sarebbe totalmente attendibile, o perlomeno una ragionevole interpretazione delle informazioni a noi pervenute, ma la realtà come spesso accade non è cosi lineare, ed esistono diversi altri dati che potrebbero mettere in crisi l'idea del paleoartista  e minare la sino mia proposta da Carrano et al.
Nel 2000 infatti quando Madsen e Welles descrissero le specie C.magnicornis e C.dentisulcatus stilarono una lista comprendente diversi caratteri diagnostici per esse che le separerebbero dalla specie tipo; ma andiamo con ordine:
1)Ceratosaurus magnicornis- proveniente dal Colorado (come la specie tipo) MWC 1, olotipo di C.magnicornis, è uno scheletro parziale attribuibile ad un esemplare subadulto della lunghezza di circa 5,6 metri, dotato di un corno nasale più basso ed espanso rispetto a quello di C.nasicornis (nonostante le molte ricostruzioni che lo ritraggono provvisto di un grosso corno) ma non solo, esso infatti presenta:
1-cranio più lungo e basso
2-margine anteriore del premascellare più dritto
3-il mascellare è più lungo (412 vs 360mm), e presenta il margine anteriore quasi verticale ed il bordo ventrale convesso
4-i denti sono più lunghi e più robusti
5-il lacrimale si presenta più massiccio
6-ispessimenti ossei rugosi sopra orbitali più marcati
7-osso quadrato concavo posteriormente in misura maggiore
8-quadrato jugale più massiccio ventralmente
9-spine neurali delle vertebre dorsali più alte (mediamente 140 vs 120 mm)
10-nonostante l'esemplare abbia dimensioni comparabili con quelle dell'olotipo esso presenta proporzioni differenti rispetto a quest'ultimo (in particolar modo ciò riguarda le ossa degli arti posteriori).
2)Ceratosaurus dentisulcatus-Descritto come già accennato sulla base di fossili noti da lungo tempo e provenienti dallo Utah, esso è il più grande esemplare attribuito al genere Ceratosaurus con una lunghezza stimata molto vicina ai 7 metri.
Esso, secondo quanto affermato da Madsen e Welles differirebbe da C.magnicornis oltre che per dimensioni nettamente superiori anche per essere più massiccia, dotata di un processo nasale rivolto posteriormente in maniera più accentuata e con tre aperture aggiuntive nel mascellare.
D'altro canto se paragonata a C.nasicornis essa presenta:
1-premascellare più lungo con diversi forami di grandi dimensioni
2-margine posteriore del processo nasale che sale con maggiore pendenza
3-denti più massicci, fortemente curvati e scanalati
4-minor numero di denti nel dentale (11 vs 15)
5-finestra antiorbitale più ampia anteriormente
6-spine neurali assiali più alte
7-assenza di prezigapofisi e presenza di epifosi.
Sulla base di tutti questi dati quindi la mia idea PERSONALE si discosta un po' da quella di Hartman, in quanto sarei propenso ad indicare UMNH 5278 come esemplare maturo attribuibile alla specie C.magnicornis, distinguendola fino al ritrovamento di prove fossili più evidenti dalla specie tipo Ceratosaurus nasicornis.

Sotto- ricostruzione dei crani attribuiti alle tre diverse specie di Ceratosaurus nordamericane, la ricostruzione del corno nasale di C.dentisulcatus è totalmente speculativo in quanto non è mai stato rinvenuto alcun nasale attribuibile alla specie, per cui non può essere utilizzata come prova ulteriore a favore della mia idea.

sabato 23 febbraio 2013

Non hai combattuto contro il T-Rex? Non sei nessuno!

Premessa: in questo post parlerò solo del T-Rex, ossia l'icona pop dinosauriana liberamente tratta dalla specie descritta da Osborn, non della specie stessa o delle teorie paleontologiche essa riguardanti.

Per ogni mostro cinematografico il T-Rex è un entità con cui bisogna fare i conti.
Egli è, e probabilmente resterà sempre, nella "hall of fame" dei mostri hollywoodiani grazie a diverse apparizioni di spicco in film che hanno segnato un epoca spesso nel ruolo di protagonista/antagonista assoluto.
Il pubblico pensa al Rex come quinta essenza stessa di "Dinosauro" e lo immagina (e lo desidera rappresentato) come un predatore insaziabile (meglio se ghiotto di carne umana) e una macchina di distruzione irrefrenabile, capace di spazzare via ogni ostacolo sulla sua strada.
Tutte le altre creature dell'orrore sembrano destinate al secondo gradino del podio incapaci di reggere il confronto con la sola fama del "Re del Mesozoico", visti con scetticismo da un pubblico convinto che "il T-rex quel mostro li se lo mangia a colazione!".
Per i registi di film fantamostruosi non resta che una da fare per consacrare le proprie creature all'olimpo delle celebrità:
Organizzare un combattimento contro il Re(x)!
Sono certo che ora a molti di voi, cari lettori, stiano balenando alla mente le immagini della terza pellicola della saga di Jurassic Park in cui il T-Rex affronta in un duello mortale la nuova star della saga, messer "Spinosaurus aegyptiacus", ma questo non è il solo caso in cui viene adoperato l'escamotage della battaglia per mettere fine al regno del Tyrannosaurus.
Sull'isola del teschio,per esempio, il pelosissimo King Kong non può dirsi padrone del suo mondo finché non uccide uno squamosissimo T-Rex salvando dalle sue fauci la bionda-bella Ann (Scena presente nel film originale del 1933 quanto nel remake del 2005).
Ma non è tutto anche Godzilla, nella sua ultima apparizione americana, appena approdato ai piovosi lidi di New York "pensa bene" di schiacciare un calco scheletrico di Tyrannosaurus esposto in un museo cittadino, ribadendo così la sua supremazia nei confronti del teropode.
Ma il cinema non è l'unico ring in cui il Re dei dinosauri si scontra con potenziali rivali, anche le pagine patinate dei fumetti hanno più volte ritratto il Rex impegnato in lotte contro niente popò di meno che i supereroi!
Ne cito una su tutte, lo scontro tra il T-Rex e l' X-man artigliato Wolverine, a dir poco spettacolare....
Ad ogni modo l'icona pop mesozoica più famosa al mondo, nonostante tutte le botte incassate, barcolla ma non molla e sono sicuro che purtroppo, o per fortuna, lo vedremo scontrarsi in molte altre fanta-battaglie contro i più improbabili avversari.

Sotto- Lo scontro dei titani in Jurassic Park 3

venerdì 22 febbraio 2013

Lo Squalo del Sud... tra speculazione e realtà

Che il sensazionalismo sia una costante della diffusione della paleontologia è un dato di fatto, e spesso esso si (im)pone al di sopra di ogni aspetto della ricerca scientifica, risultando agli occhi del grande pubblico come il fine ultimo di una pubblicazione.
Prendiamo come classico esempio il vostro Carcharodontosauride sudamericano preferito, Giganotosaurus carolinii, esso è "importante" e "famoso" solo in relazione a Tyrannosaurus rex, e solo quando è presente una bella scala dimensionale che lo rappresenta più grande del teropode nordamericano (vissuto oltre trenta milioni di anni dopo di lui) ed ampiamente più grosso, duro e arrabbiato di quanto l'animale fosse in realtà.
Pochi sono interessati alle implicazioni che il taxa ha sulla distribuzione geografica e temporale dei Carcharodontosaurudi, nonostante essi furono probabilmente i grandi predatori di maggior successo del Cretaceo medio-inferiore, eppure molti diffondono ciecamente le stime dimensionali (errate) di Calvo e Corsia di dieci anni fa, alimentando inutili focolai di sensazionalismo.
Ora suppongo di dover argomemtare la mia affermazione riguardo le dimensioni approssimate (naturalmente per eccesso) per il terode della Patagonia, e lo faccio iniziando a parlare del cranio dell'animale.
Di esso è stato detto praticamente di tutto, e ne esistono diverse repliche esposte in vari musei del mondo, che tuttavia presentano diverse inesattezze, frutto dell'alto tasso di speculazioni necessarie a completare un cranio noto solo per pochi frammenti ossei.
Su tutte spicca un eccessiva inclinazione caudale dell'osso quadrato che crea una finestra temporale ipertrofica ( http://theropoda.blogspot.it/2009/04/miti-e-leggende-post-moderne-sui_10.html), ma non solo, in molte ricostruzioni (escluse alcune delle più recenti) l'intero cranio appare quasi compresso, basso ed inverosimilmente allungato, per cui anche la finestra antiorbitale risulta infinitamente lunga e morfologicamente molto diversa da quella di qualsiasi altro allosauroide.
Sulla base di questi dati è quindi possibile affermare che la stima più probabile per il cranio di Giganotosaurus  deve aggirarsi intorno al metro e trenta o al metro e quaranta, in linea con il range dimensionale dei crani degli altri carnosauri giganti e molto più plausibile di un iperbolico cranio di un metro e ottanta.
Ma non è tutto, un altro elemento spesso citato a favore della tesi di un Giganotosaurus dalle dimensioni leviataniche è un femore attribuito al genere lungo 143 centimetri, il più lungo attribuito ad un teropode, che tuttavia non appare massiccio ma snello ed allungato, molto simile a quello attribuito a Carcharodontosaurus (e ciò non stupiscie dato il grado di parentela degli animali) adatto a sopportare un peso di cinque/sei tonnellate (in accordo con "Theropod database") e probabile indicatore di un animale relativamente agile più che di un teropode dalle dimensioni da record.

Sotto- Ricostruzione scheletrica attendibile di Hartman (2012) e ricostruzione di cranio ( si  notino le dimensioni esagerate della finestra temporale e della finestra antiorbitale).

giovedì 21 febbraio 2013

When Ceratopsian ruled... like rhinos

Qualche tempo fa in una cartoleria notai uno stand in cui erano esposti diversi modellini di dinosauri, alcuni dei quali realizzati in modo molto accurato, e la mia attenzione fu catturata dalla restaurazione di Pachyrhinosaurus, ricostruito con un grosso corno nasale che si origina dal piatto ispessimento osseo tipico del genere, che dona all'animale un aspetto inconfondibile.
La bizzarra (quanto affascinante) versione "cornuta" di Pachyrhinosaurus nasce da una teoria secondo cui appunto la piatta struttura nasale del ceratopside fosse la base di un grosso corno di cheratina, simile a quello presenti negli attuali rinoceronti, incapace di fossilizzare a causa della sua natura cheratinosa.
Ripeto, l'idea e le conseguenti illustrazioni artistiche sono molto affascinanti, tuttavia questa teoria non mi convince pienamente per via di due motivazioni, una generica ed una specifica:
In primis tutti i ceratopsidi cornuti noti presentano solide corna ossee, a prescindere dalla posizione delle stesse sul capo, ed in nessun genere (volendo escludere Pachyrhinosaurus stesso) sono stati rinvenute possibili strutture di sostegno per eventuali corna di cheratina.
In secundis esiste una specie di Pachyrhinosaurus, P.lakustai (Currie et al. 2008) in cui alcuni individui, verosimilmente i maschi maturi, vantano un corno osseo parietale, al di sopra delle orbite oculari.
Questo dato è importante poiché dimostra la presenza di corna ossee quantomeno in una delle tre specie di Pachyrhinosaurus individuate, ed aumenta lo scetticismo nei confronti di una struttura cheratinosa di grandi dimensioni mai individuata in nessun ceratopside.
Considerando le latitudini di vita dell'animale è invece possibile che il grosso ispessimento osseo fosse usato per scavare nella neve o nel terreno spoglio alla ricerca di radici o altri vegetali capaci di resistere a temperature rigide, ma qui si scade nell'ambito della pura speculazione....

Sotto- Cranio di P.lakustai.

martedì 19 febbraio 2013

Raptor Prey Restraint

L'immagine postata ieri, una fotografia ritraente un fotografo aggredito da un aquila, risulta funzionale alla scrittura di questo nuovo post, basato su di un articolo pubblicato nel 2011 da Fowler et al. nel quale viene ipotizzato un nuovo metodo di caccia per i Dromaeosauridi, molto simile a quello dei rapaci attuali.
Sulla base del modello predatorio di falchi ed aquile ( Accipitridae), anch'essi dotati di artigli altamente specializzati, i ricercatori suggeriscono per deinonycosauria un comportamento di caccia basato sull'immobilizzazione della preda, attuata tramite la forza peso esercitata balzando sul dorso della vittima e le ferite provocate dai grandi artigli che, sanguinando copiosamente, sfiniscono la preda.
Inoltre, suggeriscono i paleontologi, anche le ali ( o nel caso dei theropodi gli arti anteriori ornati di grandi penne remiganti) svolgono un ruolo importante nell' immobilizzazione della vittima in quanto vengono usate come stabilizzatori permettendo al raptor di mantenere la propria posizione di dominio al di sopra del dorso della preda.
Essa, schiacciata dal corpo del predatore e vinta dal dissanguamento provocato dalle ferite inferte dagli artigli è completamente privata della forza di lottare e citando Jurassic Parck  "il guaio è che sono ancora vive quando (i raptor) cominciano a mangiarle". comportamento attuato naturalmente da falchi ed aquile e non finzione cinematografica ( almeno in questo caso...).
Ma torniamo al modello di Fowler, che proprio a causa della sua naturalità trovo splendidamente realistico e capace di restituire anche con un fugace colpo d'occhio una visione meno distorta del mondo mesozoico ( ogni riferimento a documentari in cui i Dromaeosauridi combattono come nel film "La Tigre e il Dragone" (non) è puramente casuale).
Tuttavia non bisogna nemmeno commettere l'errore di generalizzare e riducendo gli animali a modelli monocomportamentali capaci di attuare un singolo schema di caccia, e non solo, ed incapaci di adattarsi.
Mi permetto di prendere come esempio proprio un Accipitridae, Aquila chrysaetos, ossia l'Aquila reale ( poiché ho avuto più volte la possibilità di osservarla libera nel suo habitat) che,esattamente come descritto da Fowler, immobilizza le prede di media grandezza, ma che al variare delle dimensioni della preda da abbattere attua diversi schemi di attacco che variano dall'utilizzo della forza di gravità come strumento di morte all'utilizzo di colpi letali sferrati con gli artigli a prede di piccole dimensioni che vengono successivamente trasportate fino al nido.

Sotto- Restaurazione paleoartistica del Raptor Prey Restraint (superba illustrazione di Emily Willoughby)

lunedì 18 febbraio 2013

sabato 16 febbraio 2013

Il Titano del Fiume Giallo

Continua il viaggio alla (ri)scoperta dei giganti tra i giganti, con un "nuovo" titanosauriformes di dimensioni davvero titaniche, proveniente dalla Cina, Huanghetitan.
A questo genere sono state ascritte due specie, Huanghetitan liujiaxiaensis, la specie tipo, descritta nel 2006 da You et al. sulla base di un cinto scapolare (sinistro) un sacro quasi completo, due vertebre caudali ed alcuni frammenti di costole provenienti dalla provincia di Gansu, più precisamente dal bacino del Lanzhou.
La seconda Huanghetitan ruyangensis proveniente dalla formazione Magchuan della regione di Ruyang (provincia di Henan) e descritta nel 2007 è nota sulla base di una colonna vertebrale parziale ed alcune costole immense (la più grande raggiunge i tre metri di lunghezza), le più complete attribuite ad un titanosauro gigante.
Ora nonostante la specie tipo sia già molto grande (lunghezza stimata 20/25 metri, sulla base delle dimensioni del cinto scapolare) è H.ruyangensis a conquistare la medaglia di "gigante dell'Asia" con dimensioni stimate in grado di farlo rivaleggiare con i Lognkosauri sudamericani (34 metri per 75/80 tonnellate di peso).
Tuttavia l'esemplare attribuito alla specie Huanghetitan liujiaxiaensis ad un attento esame è risultato essere un individuo immaturo (la scapola ed il coracoide infatti appaiono fusi nei sauropodi maturi, mentre nel caso del nostro Huanghetitan non è così) ed è quindi plausibile ipotizzare che anche gli esemplari maturi della specie tipo raggiungessero dimensioni da record o (come il vostro blogger è propenso a ritenere) che esista una sola specie di titani del fiume giallo, molto diffusa nell'area dell'attuale Cina durante il Cretaceo inferiore, nominabile secondo il principio di priorità Huanghetitan liujiaxiaensis (in accordo con "the paleobiology database").
Dunque, per chiarezza tassonomica, da adesso mi riferirò a Huanghetitan unicamente come genere, tralasciando la dicotomia specifica.
Esso appare come un titanosauriformes basale, collocabile ideologicamente tra Eohelopus ed Andesaurus, strettamente imparentato con i Somphospondyli (D'Emic 2013), e quindi dotato di un collo lungo, verosimilmente inclinato verticalmente, e di una coda relativamente lunga e terminante a frusta, ma sensibilmente più robusto degli altri giganti appartenenti al clade, poiché le straordinarie costole rinvenute da Lü nel 2007 ed il sacro espanso della specie tipo suggeriscono che l'animale avesse un ventre molto ampio, paragonabile a quello ipotizzato per alcuni Lognkosauri giganti (leggi Puertasaurus).

Sotto- In assoluto la migliore restaurazione di Huanghetitan presente sul web, il collo dell'animale potrebbe essere stato addirittura più lungo (sulla base del suo clade d'appartenenza) ma la ricostruzione rende giustizia alla mole del Titano del Fiume Giallo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Love like a dinosaur

Ricostruzione della probabile posizione di copula per i grandi theropodi... Buon s. Valentino

Sauroposeidon > Paluxysaurus

Nel 2000 Wedel, Cifelli e Sanders descrissero Sauroposeidon proteles, celeberrimo sauropode considerato il più grande brachiosauride Americano.
Tuttavia tale status è stato messo in discussione da D'Emic et Foreman (2012), che non  solo hanno ipotizzato l'appartenenza del Taxa a Titanosauriformes, ponenodolo all'interno del clade Somphospondyli, ma riferiscono anche a Sauroposeidon diversi reperti fossili provenienti dall' Oklahoma, dal Texas e dal Wyoming, ed inizialmente attribuiti a Paluxysaurus jonesi, sauropode brachiosauride/titanosauriforme vissuto nel Cretaceo inferiore 112 milioni di anni fa e descritto nel 2007 da Rose.
Questa sinonimizzazione, legittimata dagli autori sulla base dell'indistinguibilità dei reperti riferibili a Paluxysaurus da quelli che formano OMNH 53062 ovvero le 4 vertebre olotipiche di Sauroposeidon, porta S.proteles ad essere uno dei sauropodi cretacei meglio conosciuti, e suggerisce che l'animale non fosse come lo abbiamo immaginato.
Lo status di titanosauride basale infatti porta a ipotizzare che Sauroposeidon non avesse 13 vertebre cervicali, come assumibile sulla base di Brachiosaurus e Giraffatitan, ma bensì 15 o 17, in accordo con i dati relativi ai titanosauri noti e con le evidenze fossili riscontrate in Paluxysaurus, e considerata la forma estremamente allungata delle vertebre cervicali (la più lunga di quelle contenute nel cast dell'olotipo raggiunge il metro e quaranta centimetri di lunghezza) è possibile ipotizzare un altezza considerevole per l'animale, conservativamente superiore ai 15 metri.
Ancora sulla base dei dati relativi ai resti attribuiti allo stesso Paluxysaurus la coda di S.peoteles appare più lunga e sinuosa rispetto a quella dei brachiosauridi "classici" e probabilmente terminante a forma di frusta.
Per tutti quelli che se lo stanno chiedendo il considerevole scarto di dimensioni presente tra Sauroposeidon proteles e Paluxysaurus jonesi è spiegato dagli autori come attribuibile a fattori ontogenici, per cui quest'ultimo viene identificato come forma giovanile di S.proteles
(Si, l'accorpamento di diverse specie in una singola sulla base dell'età degli individui è stato uno dei brand dominanti durante tutto il 2012...).

Sotto-Olotipo e resti riferiti di Paluxysaurus (leggi Sauroposeidon) e restaurazione in vita di S.proteles

martedì 12 febbraio 2013

Fight like a dinosaur- Round 2

Sopra- Combattimento tra Aironi (fotografia National Geographic)
Sotto- Combattimento tra Velociraptor (illustrazione Luis Rey)

sabato 9 febbraio 2013

Spinosaurus for sale

In un precedente post ho accennato alla fama spropositata acquisita da Spinosaurus nel corso dell'ultimo decennio, soffermandomi d'altro canto sulla scarsità di reperti fossili noti attribuiti al genere.
In questo post invece intendo (s)parlare di tutti quei "fossili di Spinosaurus" attualmente in vendita oppure in mano a privati collezionisti.
Premesso che, avendo visitato più volte il nord Africa, posso direttamente confermare la pratica della "libera vendita" di fossili (prevalentemente provenienti dalla Kem Kem Formation) attuata dalla popolazione locale, che tuttavia sento di non poter criticare date le condizioni di vita presenti ed il prezzo di vendita dei fossili, bisogna precisare che la maggior parte dei reperti attribuibili al theropode crestato sono denti assegnati a Spinosaurus solo sulla base della loro morfologia che seppur prettamente spinosauride non può considerarsi diagnostica per il genere.
D'altro canto i privati collezionisti di fossili (spesso ladri di conoscenza a scapito dell'intera paleontologia) vantano pezzi unici all'interno dei loro musei domestici, tra cui rostri, artigli vertebre e arti anteriori, quando non crani più o meno completi o addirittura scheletri.
Alcuni di queste meraviglie perdute sono palesemente false, su tutte un esemplare completo così straordinariamente simile ai modelli scheletrici in vetroresina la cui immagine spopola sul web, ma alcuni sono degni di vivo interesse.
Non posso infatti che rattristarmi alla vista di annunci riguardanti artigli spinosauridi rinvenuti nel Kem Kem pronti per essere venduti per qualche migliaio di dollari in barba al fatto che reperti di questo tipo sono sconosciuti alla scienza ed una manna per i paleontologi.
L'unica speranza è che gli acquirenti di questi reperti siano abbastanza illuminati da permetterne lo studio da parte degli addetti ai lavori prima di esporre il loro trofeo personale del protagonista di Jurassic Park 3, come avvenuto in alcuni casi ed ultimamente proprio con un rostro spinosauride (?Spinosaurus) non ancora descritto ufficialmente.
Esorto chiunque fosse in possesso di informazioni riguardo a tesoretti privati od in vendita a contattarmi, e state sicuri cari lettori che tampinerò qualche bel sito che vanta tra i propri articoli falangi ed artigli di Spinosaurus...

Sotto-olotipo di Spinosaurus (andato distrutto, come fatto mi giustamente notare, durante i bombardamenti su Monaco, non Berlino) il reperto più completo mai attribuito al genere.

venerdì 8 febbraio 2013

L'era dei titani

Io sono cresciuto con la concezione che il periodo Giurassico fosse stato l'apogeo dei sauropodi, e che dall'alba del Cretaceo la Terra non fu mai più calpestata da creature altrettanto imponenti.
Questo è quello che ho creduto per anni e... è una balla!
Le straordinarie scoperte fossili effettuate nell'ultimo decennio infatti hanno aperto una nuova breccia nell'oscurità del tempo profondo, permettendoci di conoscere meglio la storia evolutiva dei sauropodi, ed allargando il range temporale del dominio dei giganti di ottanta milioni di anni! -Ottanta milioni di anni, un tempo che la mente umana non riesce neanche a concepire ve lo assicuro-
Non che prima dell'ultima decade non fossero noti generi di sauropodi provenienti da affioramenti cretacei, intendiamoci, ma essi erano considerati superstiti di "piccole" dimensioni sopravvissuti ad un mondo ormai estinto e destinati a soccombere davanti alla supremazia dei più evoluti ornitopodi.
La realtà invece si è dimostrata essere molto più complicata (come al solito), tanto che il materiale di cui oggi siamo in possesso suggerisce che i Macronaria svilupparono le forme più grandi e stupefacenti proprio durante il Cretaceo, e che esse sopravvissero e prosperarono fino alla fine del regno dei dinosauri.
Uno degli esempi più lampanti è l'enigmatico Puertasaurus reuli (descritto da Novas et al. nel 2005 sulla base di quattro vertebre, due caudali, una dorsale ed una cervicale, così grandi che l'animale avrebbe potuto rivaleggiare in dimensioni con l'altrettanto enigmatico Amphicoelias fragillimus) un esponente di Lognkosauria, vissuto in sud America nel Maastrichtiano, 70/65 milioni di anni fa.
Non solo nel sud (patria di giganti) ma anche a nord un titano foraggiava a oltre dieci metri di altezza mentre il Tyrannosaurus era a caccia, ossia Alamosaurus, a lungo considerato un esponente di poccola taglia dei titanosauridi ma oggi, sulla base di nuovi reperti provenienti dalla formazione Ojo Alamo, nel Nuovo Messico e riportati alla luce da Fowler e Sulliwan (due vertebre e un femore parziale), considerato uno degli animali più grandi mai esistiti.
E come non citare il cretacico brachiosauride che in Marocco ha impresso la pista di orme più ampie che il mondo abbia mai visto, Breviparopus taghbaloutensis?
Insomma durante il Cretaceo i sauropodi continuarono a dominare le terre emerse, eppure in quegli antichi echi che volevano i sauropodi in crisi dopo il crepuscolo del Giurassico c'era un fondo di verità, riferibile a Diplodocoidea.
In effetti pare nel Cretaceo questi animali dotati di coda lunghissima e di colli tenuti in posizione quasi parallela al terreno non sopravvissero, pur essendo stati molto comuni durante il periodo precedente.
Perché una famiglia di giganti si estinse mentre l'altra sopravvisse ancora per milioni e milioni di anni?
La soluzione di questo enigma potrebbe essere nascosta all'interno della nicchia ecologica occupata da questi animali legata in modo particolare alla loro altezza.
Mentre i Macronaria brucavano le fronde degli alberi tra i 10 ed i 20 metri di altezza dove nessun altro animale poteva arrivare e per questo poterono diversificarsi ed evolversi senza mai doversi scontrare con nessun competitore per le risorse, i diplodocoidi che si nutrivano delle piante che crescevano tra uno e sei metri dovettero scontrarsi con molti competitori, alcuni dei quali più evoluti di loro, in grado di masticare il cibo prima di ingerirlo, che me decretarono la scomparsa e si imposero come erbivori dominanti (all'interno della loro nicchia ecologica) durante tutto il periodo Cretaceo.

mercoledì 6 febbraio 2013

Una vera principessa indossa solo tacchi alti e piumosissimi vestiti griffati

Se c'è una cosa che manca in rete, e non solo, è una rappresentazione degna di Tyrannosaurus rex che tenga in considerazione lo status di Coelurosauro estremamente derivato del theropode, e quindi delle implicazioni relative al tegumento piumato, ipotizzabile sulla base delle inferenze filogenetiche.
Questo è quello che pensavo fino a poco tempo a fa, prima di imbattermi in questa illustrazione di Sammy Hall.
In questa restaurazione in vita Tyrannosaurus presenta un tegumento misto, infatti mentre le zampe sono squamate la maggior parte del corpo è ricoperta da un meraviglioso piumaggio bicolore.
Quello che più mi colpisce di questa illustrazione, e più mi porta ad apprezzarla, e che l'animale sembra reale esattamente così come è rappresentato, e non uno squamoso Tyrannosaurus rivestito di piume come invece accade nelle restaurazioni di grandi theropodi azzardatamente "impellicciati" dai paleoartisti.
Interessante è la scelta compiuta dall' artista riguardo le parti corporee rappresentate come squamate, esse infatti sono parzialmente in accordo con i (pochi) dati in nostro possesso relativi al tegumento dei grossi tirannosauridi.
MPD 107/6A è un esemplare di Tarbosaurus bataar, andato purtroppo perduto, il quale recava tracce di epidermide squamata  in prossimità degli arti anteriori, mentre un secondo reperto, una traccia fossile attribuibile anch'essa al tiranno asiatico mostrerebbe che anche le zampe posteriori fossero ricoperte da squame del diametro di alcuni millimetri (MPD 100F/12).
Per quanto riguarda il resto del corpo la restaurazione è fedele al tegumento piumato di di Yutyrannus, il più grande animale piumato conosciuto e,guarda caso, affine a Tyrannosaurus rex.
Esiste poi un esemplare di tirannosauride, forse Tyrannosaurus, non ancora formalmente descritto recante tracce di squame/osteodermi sulla coda, spesso citato dai sostenitori del T.rex squamato come prova ultima di epidermide non-piumata per l'animale, che tuttavia non inficia minimamente la (molto più) probabile teoria di tegumento misto per Tyrannosaurus.
Per finire, tocchi di pregio di questa restaurazione (aldilà delle piume) sono la corretta inclinazione degli arti anteriori, i palmi sono rivolti verso il torso dell'animale piuttosto che verso il terreno, e la trasposizione della deambulazione digitigrada dell'animale che si muoveva poggiando a terra le dita, e non l'intera pianta del piede, esattamente come oggi fanno gli uccelli.

martedì 5 febbraio 2013

Stele di rosetta

Una delle fondamenta delle scienze naturali che studiano gli organismi viventi è la cladistica (o sistematica filogenetica), ossia  un metodo di classificazione dei viventi che si basa sul grado di parentela tra animali o piante sulla base dell'ultimo progenitore comune.
In paleontologia la cladistica ha una doppia funzione, in quanto permette sia di ricostruire gli alberi genealogici delle varie famiglie animali (nel nostro caso dei dinosauri) sia di poter inferire le caratteristiche dei Taxa meno noti partendo da quelli più strettamente imparentati con essi ma meglio conosciuti.
Il bel musino che vedete nella foto (sotto) è la ricostruzione del cranio di Malawisaurus dixeyi, uno dei più antichi titanosauri noti, vissuto nel Cretaceo inferiore 115-110 milioni di anni fa, risultato secondo le analisi cladistiche condotte da   Calvo, Porfiri, González-Riga, e Kellner (2007) il sister-taxa di Lognkosauria, il gruppo di titanosauridi che comprende gli animali terrestri più pesanti che abbiano mai calcato il suolo.
I resti degli enormi animali appartenenti a questo gruppo (attribuibili a sauropodi della lunghezza di almeno 30 m per 70/100 tonnellate di peso) provengono da diverse formazioni del sud America suggerendo che i Lognkosauri dominarono le terre del Gondwana durante tutto il periodo Cretaceo.
Sulla base dei fossili rinvenuti attribuiti a Lognkosauri sappiamo che essi possedevano un collo straordinariamente forte, le vertebre cervicali infatti possedevano spine neurali alte e robuste, così come gli archi neurali, mentre le vertebre cervicali erano molto grandi e spesse. Anche le vertebre dorsali sono molto larghe, e presentano processi laterali simili ad ali, che ne aumentano ulteriormente l'ampiezza.
Questi dati ci dicono che i Lognkosauri presentavano una gabbia toracica molto ambia ed un collo lunghissimo tenuto in posizione verticale in maniera simile ai loro antenati brachiosauridi, tuttavia lasciano aperti numerosi interrogativi, ed è proprio qui che entra in scena la nostra stele di rosetta africana, Malawisaurus.
Sulla base di quanto conosciamo di questo "piccolo" titanosauro (non raggiunge i 20 metri di lunghezza) infatti possiamo inferire la morfologia dei giganti del sud con un ottimo grado di approssimazione.
Malawisaurus possiede un cranio particolare, simile a quello dei Macronari basali (ossia affine a Camarasaurus sp) ed è plausibile pensare che anche gli appartenenti a Lognkosauria avessero una morfologia cranica simile caratterizzata da ridotta lunghezza ed altezza considerevole.
Esattamente l'opposto si può dire della coda, in quanto essa non presente affatto similitudini con quella dei Macronari ma si presenta lunga, composta da almeno una sessantina di vertebre e terminante in una sorta di frusta.
Dai fossili attribuiti a Malawisaurus emerge un altra caratteristica interessante, ossia la presenza di osteodermi probabilmente atti a difendere il dorso dell'animale o quantomeno ad indurirne la superficie epidermica.
Essendo stati rinvenuti osteodermi analoghi anche in un titanosauride altamente derivato, Saltasaurus loricatus, è probabile che tali processi difensivi permeassero l'intero clade, e fossero presenti anche in Lognkosauria.
-Per una restaurazione in vita degna di questi animali vi rimando alle opere di Nima Sassari noto come "The paleoking" su Deviant Art.

PS-A scanso di equivoci: Argentinosaurus nonostante la mole non rientra in Lognkosauria ma in Andesauridae, un sottogruppo di titanosauri più primitivi.

sabato 2 febbraio 2013

Lambesaurinae gigantism

Lambrosaurinae è probabilmente la sottofamiglia ornitopode più rappresentativa, a causa degli ornamenti cranici tipici dei Taxa che la compongono.
Le taglie XL tra questi dinosauri non sono rare, tanto che lunghezze dell'ordine dei 7/8 metri sono di fatto la norma per questi animali.
Tuttavia William J. Morris nel 1981 descrisse dei fossili di ornitopode provenienti dal Messico appartenuti ad un animale della massa di almeno 15 tonnellate, e probabilmente avente una lunghezza superiore ai 14 metri, da lui battezzato ?Lambeosaurus laticaudus.
L'olotipo di ?L.laticaudus , LACM 17712, tuttavia non era eccezionale solo per le sue dimensioni, ma anche (se non principalmente) per il fatto di aver conservato delle tracce della pelle dell'animale, una sorta di calco naturale recante i segni degli osteodermi che componevano l'epidermide del lambeosaurino.
Per trentuno anni ?Lambeosaurus laticaudus fu generalmente considerato come specie valida del genere Lambeosaurus, finché nel 2012 Marquez et al sulla base dell'olotipo della specie e dei reperti ad essa correlati istituirono un nuovo genere che potesse accogliere il gigante dal becco d'anatra: Magnapaulia laticaudus (si, un nome abbastanza triste).
Sulla base della ri-descrizione effettuata dagli autori Magnapaulia appare come un lambeisaurino dalle dimensioni di un piccolo sauropode diagnosticato da due autapomorfie (tratti unici derivati) individuate nell'olotipo, ossia chevron lunghi quattro volte il centro vertebrale alla base della coda e la presenza sulla di processi articolari detti prezigapofisi.
Inoltre tra le caratteristiche del Taxa una delle più evidenti è l'altezza delle spine neurali delle vertebre dorsali e caudali che avvicinano Magnapaulia al lambeosaurine Velafrons coahuilensis (anch'esso Messicano) più che a Lambeosaurus sp.
Un altro dato interessante è l'assegnazione al Taxa di LACM 17.712, un reperto fossile comprendente un omero gigantesco, della lunghezza originale stimata di 803 mm, che suggerisce che le grandi dimensioni e la mole degli ornitopodi giganti portassero questi animali a muoversi esclusivamente -o quasi- poggiando sui quattro arti, e che per questa ragione svilupparono arti anteriori proporzionalmente più grossi e robusti rispetto agli esponenti della famiglia più piccoli.
Nonostante i reperti assegnati al genere permettano di ricostruire quasi completamente lo scheletro dell'animale non si dispone attualmente di alcun teschio completo, quindi seppur la superficie dorsale delle ossa frontali altamente modificata indichi la presenza di una cresta ossea sul capo dell'animale la forma della stessa è ignota.